Grazie, Presidente. Il cosiddetto taglio dei parlamentari, di cui discutiamo oggi, rappresenta qualcosa di più di una riforma costituzionale, così come rappresenta qualcosa di più del passaggio inevitabile e necessario per far funzionare il patto parlamentare da cui è nata questa nuova maggioranza di Governo. Entrambe queste cose sono vere: da un lato, appunto, una riforma costituzionale; dall'altro, una condizione per far lavorare il Governo. Ma dietro questo provvedimento - ed è il punto su cui vorrei concentrare il mio intervento - c'è qualcosa di più, ed è il percorso storico che ha condotto la politica italiana, o almeno una parte significativa della politica italiana, a considerare la rappresentanza politica come espressione di un privilegio sostanzialmente inaccettabile, un privilegio da limitare, da coartare come ogni altro privilegio materiale immeritato e, dunque, di nessuna utilità. Un privilegio che, quindi, in ultima istanza potrebbe anche essere cancellato in teoria, senza arrecare danni significativi alla comunità civile a cui apparteniamo.
Conosciamo bene questa idea, la conosciamo noi che siamo parlamentari ma la conoscono tutti i protagonisti attivi e passivi della discussione pubblica italiana da almeno un quarto di secolo, mi verrebbe da dire. È un'ideologia di segno fondamentalmente antiparlamentare, e il fatto è che non siamo arrivati fin qui oggi a discutere di questo provvedimento solo perché il MoVimento 5 Stelle ha proposto, qualche mese fa, questa proposta di legge di riforma costituzionale; ci siamo arrivati dopo, per l'appunto, venticinque anni di retorica contro la casta, contro l'inutilità della funzione di rappresentanza politica, contro la configurazione del potere legislativo solo e soltanto come privilegio materiale.
La parola chiave di questo percorso storico è ovviamente “poltrona”, quella su cui sediamo normalmente, quella su cui prima di noi si sono seduti altri colleghi in rappresentanza del popolo italiano, e se siamo arrivati a configurare la riduzione dei parlamentari della Repubblica prima ancora di discutere del merito del provvedimento solo e soltanto come il taglio di un centinaio di poltrone o più o meno, come è stato autorevolmente sostenuto non certo da qualche passante poco informato ma da figure di primaria responsabilità negli attuali assetti politici e di Governo, se siamo arrivati fin qui in questo modo significa che la discussione su questo provvedimento può e forse dev'essere usata anche come occasione per domandarsi se la retorica dell'anticastismo abbia prodotto il bene o il male di questo Paese.
Per questo mentre sosteniamo, e sostengo, questo provvedimento, appunto nella doppia logica di condizione necessaria al patto di maggioranza e di riforma costituzionale, credo che sia indispensabile interrogarsi sull'ideologia da cui origina questa retorica ma, anche e soprattutto, sulle patologie della democrazia che questa retorica ha denunciato e denuncia e sulle risposte possibili, per l'appunto, a quelle patologie. Io credo che dobbiamo essere consapevoli, innanzitutto, che l'ideologia dell'anticastismo nasce da una crisi autentica e profonda della democrazia liberale, nasce da un indebolimento reale dei poteri della democrazia e, insieme, dalla diffusione nell'opinione pubblica di una percezione legittima e fondata, per quanto ruvida e poco digeribile soprattutto da noi, secondo la quale la democrazia non riesce più a dare risposte efficaci ai bisogni reali della società, a governare il cambiamento, a rassicurare i cittadini, che avvertono una drammatica perdita del proprio potere decisionale proprio nel mezzo di passaggi storici che ne mettono in discussione status e certezze.
È una crisi che nasce da molti fattori complessi e intrecciati, da trasformazioni storiche reali, dall'insufficienza delle risposte che a queste trasformazioni sono state date dalle classi dirigenti, anzi, ormai da più di una generazione di classi dirigenti e anche dall'attacco alla democrazia che nel corso degli anni è stato mosso e viene ancora mosso da interessi che sono reali, nazionali e internazionali. È una dinamica estremamente complessa, per l'appunto, che nel corso di questo quarto di secolo tiene insieme Tangentopoli fino agli ultimi siluri lanciati contro la democrazia liberale da regimi autoritari come, per esempio, quello della Russia di Putin. E proprio per la complessità di questo contesto storico, nel quale siamo immersi, credo che dobbiamo essere consapevoli che è proprio dentro questa crisi della democrazia che si impianta la retorica contro la casta e l'ideologia dell'anticastismo da cui nasce questo provvedimento.
È ovvio, credo, che la crisi della democrazia o, meglio, la crisi delle democrazie è, soprattutto, una crisi dei Parlamenti o, meglio, la crisi della democrazia è crisi di Parlamenti eletti democraticamente, ma colpiti nella loro efficacia e nella loro credibilità, nella loro percezione di utilità, nella loro capacità di trasmettere alle opinioni pubbliche il senso di una funzione reale e concreta che, evidentemente, non si avverte più come una funzione effettivamente svolta. E proprio questi Parlamenti, in conseguenza di questa drammatica crisi di efficacia, vengono rappresentati essenzialmente - spiace dirlo, ma va detto - come luoghi di privilegio e di malaffare.
Noi qui, però, siamo legislatori, appunto, e non commentatori e, in quanto legislatori, la domanda che dobbiamo porci è, mentre discutiamo ancora di questo provvedimento, una domanda duplice e molto impegnativa: possiamo permetterci che la nostra democrazia e il nostro Parlamento vengano rappresentati essenzialmente come luoghi di privilegi e di malaffare? E possiamo permetterci di dare alla crisi della democrazia e dei Parlamenti solo e soltanto la risposta contenuta nel cosiddetto taglio delle poltrone? La risposta del Partito Democratico - e non da oggi - a questa domanda è molto diversa da quella dei colleghi del MoVimento 5 Stelle, con i quali oggi condividiamo pure la responsabilità di governare l'Italia e il sostegno a questo provvedimento. A differenza del MoVimento 5 Stelle, il Partito Democratico ritiene che la democrazia rappresentativa vada rafforzata e non indebolita; a differenza del MoVimento 5 Stelle, noi pensiamo che il Parlamento repubblicano vada, per l'appunto, rafforzato e non indebolito; a differenza del MoVimento 5 Stelle, noi pensiamo che la rappresentanza politica, di cui noi oggi siamo, diciamo, rappresentanza ed espressione più alta anche se immeritata, non sia solo una sommatoria di poltrone da sfoltire ma una funzione fondamentale per qualsiasi democrazia, una funzione fondamentale che, per l'appunto, dev'essere rafforzata e resa più efficace.
Non lo pensiamo solo noi, i singoli deputati del PD, ma lo pensa quella larga parte del Paese che ritiene che non dovremmo disfarci con tanta leggerezza delle istituzioni che hanno permesso alla nostra democrazia di attraversare crisi e minacce numerose. Lo pensa quella larga parte del Paese, per l'appunto, che poche settimane fa, quando ha ascoltato un leader politico che chiedeva e pretendeva pieni poteri per sé e per il proprio partito, trasmettendo al Paese un messaggio sostanzialmente eversivo, quella parte del Paese ha detto: fermiamoci un attimo, difendiamo le nostre istituzioni e sediamoci persino con quella parte politica con la quale abbiamo ingaggiato migliaia di battaglie e che ha sostenuto finora un Governo contro il quale noi abbiamo fatto un'opposizione severissima.
Allora, la domanda che mi faccio è: questo significa forse che dovremmo conservare il nostro Parlamento così come è oggi? Significa forse che dovremmo conservare le nostre istituzioni democratiche così come sono oggi? Ovviamente no. Al contrario, è proprio perché siamo convinti che sia indispensabile rafforzare la democrazia rappresentativa che noi riteniamo indispensabile riformare l'istituzione parlamentare, dentro una riforma più vasta delle istituzioni democratiche.
Proprio per questo noi pensiamo che vi sia bisogno di rafforzare, e non di indebolire la democrazia rappresentativa.
Per parte nostra, noi ci abbiamo provato e continuiamo a provarci. È stata questa l'ispirazione delle riforme istituzionali che abbiamo promosso nel corso della passata legislatura, con un disegno di riforma che era volto a rafforzare la democrazia repubblicana attraverso la sua profonda riforma: una riforma - ricordo - dentro la quale trovava posto anche una riduzione, persino maggiore di questa, del numero dei parlamentari, ma per l'appunto una riduzione che si configurava come un passaggio di un disegno più ampio e complessivo. Un disegno ampio e complessivo che aveva un unico punto di riferimento: rispondere alla crisi della democrazia, che è anche crisi dei Parlamenti, non assecondando passivamente la retorica e l'ideologia dell'“anticastimo”, ma al contrario rispondendo a quella retorica con il rilancio riformatore delle ragioni della democrazia e di un parlamentarismo rafforzato.
Noi abbiamo fallito, come è noto, in quel caso; ma l'occasione di questo voto credo che debba servire a tutti noi, tutti noi, per riflettere sull'urgenza di una riforma, e magari anche per riflettere sugli errori che sono stati fatti da tutti i protagonisti della passata legislatura su questo punto. Sia da coloro che hanno promosso il “no”, ad esempio, che io credo possano interrogarsi su cosa alla fine abbiano ottenuto; e sia da coloro che, come il sottoscritto e tanti altri colleghi, hanno promosso le ragioni del “sì”, senza riuscire a convincere la maggioranza degli italiani. Personalmente, per quanto vale, sono convinto che da quel fallimento sia nata la condizione storica nella quale abbiamo concretamente rischiato una deriva eversiva in questo Paese, con la retorica e con la richiesta e con la pretesa dei pieni poteri; ma questo forse, anzi sicuramente, sarà oggetto di discussione e di ricerca per gli storici del futuro.
Mi avvio alle conclusioni, ponendo appunto questo tema che accennavo un attimo fa, perché questa che abbiamo oggi è un'altra occasione per avviare un processo di riforma delle nostre istituzioni democratiche. Ma dev'essere un processo, per l'appunto, con il coraggio dell'apertura e della visione lunga: non può esaurirsi nel taglio di qualche poltrona, non può esaurirsi nel pur indispensabile varo di una nuova legge elettorale e negli altri correttivi che si rendono indispensabili. Tutto questo è necessario, ma non sufficiente, mentre sosteniamo questo provvedimento nella nuova cornice politica e di Governo di cui ci siamo assunti la responsabilità.
Ciò che è indispensabile, per quanto difficile possa apparire, è fare in modo che questo provvedimento sia solo il primo passo di un nuovo sforzo di riforma delle istituzioni repubblicane, che abbia una direzione e un senso precisi: rafforzare le nostre istituzioni, a partire dal Parlamento, per rispondere alla minaccia che ormai da decenni è rivolta contro la democrazia liberale.
Quella che serve davvero - e concludo, Presidente - è l'ambizione di un disegno riformatore e più ampio. È difficile dire se ci riusciremo in questa legislatura, ma è certamente vero che dobbiamo impegnarci con questo unico obiett.